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1971-2012: storia di una piazza

21 Lug

“Time Out” – Disegno di Brochendors Brothers

1971

Noi siamo convinti che il teatro, un teatro concepito in modo nuovo, strettamente collegato ai problemi della realtà e della società, possa rappresentare un motivo valido di progresso sociale, culturale e civile.

Romeo Donati (sindaco di Santarcangelo di Romagna dal 1970 al 1979 e fondatore del Festival)

Perché noi abbiamo voluto fare questo teatro in piazza? Perché teatro in piazza per noi ha un significato ideologico abbastanza preciso, cioè significa teatro fatto fuori dalle consuete mura nelle quali da secoli il teatro si muove e agisce, significa teatro fatto nei luoghi dove il popolo vive, si agita, agita i propri problemi, litiga e fa l’amore, piange, compra e vende. Questa è la piazza, questa era la piazza nell’antica Grecia, questo era il foro nell’antica Roma.

Piero Patino (primo direttore artistico del Festival Internazionale del Teatro in Piazza), estratti dal discorso di inaugurazione della prima edizione del festival

2012

Più che una definizione, si tratta di una questione aperta. Evidentemente il nodo che va a toccare è quello del rapporto tra l’arte, l’arte teatrale in particolare, e la realtà sociale, politica, la vita.
La domanda è quella della polis. Allora si torna molto indietro con lo sguardo, alla fondazione di quell’idea europea e occidentale di città, come città dei molti. E la piazza significa questo: è un teatro che si confronta con i molti , con i diversi, che interroga la nozione greca dell’agorà, la nozione di confronto e di democrazia.
Al tempo stesso però, si tratta di una questione particolarmente visibile nel teatro contemporaneo.
C’è un grande bisogno della scena quotidiana, di incontrare la realtà come se vivessimo in un deficit di realtà permanente e il teatro diventasse il luogo in cui questa si fa più presente, più percepibile, in cui riusciamo a vederla. Abbiamo visto anche come negli ultimi anni, dopo un periodo di abbandono, la piazza sia tornata al centro di molti lavori d’artista, di movimenti politici e rivoluzionari di diversa natura e di diverse parti del mondo e d’Europa. Forse anche questo ha a che fare con il fatto che ci sentiamo di riprendere la domanda sul rapporto tra Teatro e Piazza in questo festival, in un bisogno di uscita dal teatro, che è un bisogno antichissimo.

Silvia Bottiroli (attuale direttrice artistica del Festival), estratto da un’intervista realizzata nell’ambito del progetto Ormete in collaborazione con il Festival internazionale del Teatro in piazza, luglio 2012.

 

Se solo Piazza Ganganelli potesse raccontarsi, avrebbe almeno due opzioni: fascinosa e cosmopolita, potrebbe padroneggiare più lingue e avere il volto spigoloso e complesso di una donna di Picasso, o potrebbe soffrire di crisi identitarie, allora bisognerebbe farla sdraiare su un lettino di marmo e ascoltarla.

In origine era campagna e le strade guardavano verso l’alto in direzione del centro storico. A lungo, la sola presenza fu la Chiesa trecentesca di San Francesco che dopo essere stata luogo di culto, magazzino militare e fabbrica di pipe, venne brutalmente distrutta per lasciare il posto alle scuole comunali (1885). Poi fu la volta dell’arco dedicato a Lorenzo Ganganelli, papa Clemente XIV, unico elemento realizzato secondo il progetto settecentesco di Cosimo Morelli (architetto ufficiale della Santa Sede), che lo voleva maestosa porta d’ingresso di un paese altrettanto trionfale. A seguire: il Palazzo Comunale, i due loggiati e i portici tipici dei luoghi di mercato, il vecchio ospedale civile e l’edificio dell’ex dispensa di Sali e Tabacchi, che oggi ospita la Biblioteca, l’Archivio e la Pinacoteca Comunale. In sintesi, è questo l’antico scenario ottocentesco nel quale, nel secolo successivo, si aggiungono il monumento ai caduti di Bernardino Boifava, la fontana e la chiusura al traffico. Chiusura che è il risultato di lunghe discussioni tra amministrazione comunale, uomini di cultura e cittadini. A Santarcangelo quasi tutti ricordano la proposta di quel “provocatore di problemi”, così come amava definirsi, che era Tonino Guerra: bisognerebbe piantare un ciliegio signor sindaco, «mettetene uno in Piazza Grande a Santarcangelo, come simbolo di una realtà che può muoversi e può diventare qualcosa». E così si fece su indicazione dell’allora sindaco Giancarlo Zoffoli: gli operai del comune piantarono l’albero proprio nell’angolo in cui i due loggiati si incontrano. Dopo un anno il ciliegio fu tolto ma suscitò ugualmente l’attenzione necessaria, tanto da parte dei cittadini quanto da parte di voci esterne, come quella di Alberto Moravia che in risposta e in segno di partecipazione inviò una lettera al Comune.

Ad oggi, in occasione della quarantaduesima edizione del Festival Internazionale del Teatro in Piazza, la tanto discussa agorà torna a essere il punto propulsore dal quale si diramano strade diverse, dove transitano, più o meno a lungo, parole ed esperienze. Piazza Ganganelli è già stata scenario del lavoro dei Codice Ivan, alla ricerca di quella diavolo di felicità che si scontra con una serata di difficoltà e vento, ha ospitato il sottosuolo umano di Dostoevskij nella rilettura di César Brie di fronte agli occhi stupiti dei bambini, i corti d’animazione nel continuo confronto con la dimensione quotidiana, con una giornata dal dentista per esempio. E ancora, dopo il viaggio spirituale nel Corpo celeste di Alice Rohrwacher, ha indagato la Nascita di una Nazione con l’Accademia degli Artefatti e, dal lato opposto al palco, ha ospitato il lavoro attento di Radio Gun Gun curata da Altre Velocità. È il Festival, il Teatro, a richiedere e indurre dialoghi, generando gesti spontanei come la corsa di un gruppo di ragazzi che attraversa in un attimo il palco sotto lo schermo, mentre gli altri guardano sbigottiti la proiezione del film di Fellini, Ginger e Fred. Danze rivoluzionarie, entrambe. Freme ora il marmo in attesa della vertigine di un ultimo ballo. E così, con la firma di Zapruder Filmmakersgroup, I topi lasciano la nave. (Yes Sir I Can Boogie).

Francesca Bini